
Gli orrori del recruiting IT: processi di selezione da brivido e come evitarli
Perché i processi di selezione IT non funzionano più: errori comuni e consigli pratici per assumere meglio
HEAD HUNTING

Perché i processi di selezione IT oggi si inceppano (e cosa possiamo fare meglio)
C’è una cosa che negli ultimi anni ho capito molto chiaramente lavorando nel recruiting tech:
non è vero che mancano i talenti.
Spesso mancano processi di selezione che permettano davvero di riconoscerli e conquistarli.
Nel mondo IT la competizione è altissima, le persone sono iper–sollecitate e hanno aspettative diverse rispetto a dieci anni fa.
Non cercano solo “un lavoro”: cercano un percorso, un ambiente che funzioni, qualcuno che li tratti da professionisti e non da numeri da mettere in un CRM.
E qui… purtroppo iniziano i problemi.
Perché molti iter di selezione oggi sembrano progettati per allontanare le persone, non per attrarle.
Voglio condividere alcune dinamiche che vedo ogni settimana, e che secondo me rappresentano la differenza tra assumere davvero talento o perderlo per strada.
Iter di selezione lunghissimi
Partiamo dal grande classico: i processi con 4 colloqui, 2 panel, test, follow-up, presentazione al CEO, feedback “che arriva presto”… soltanto che “presto” poi diventa tre settimane.
Non sto dicendo che sia sbagliato voler valutare bene una persona — ci mancherebbe.
Ma siamo sinceri: nella maggior parte dei casi non serve tutto questo.
Quando un candidato deve passare attraverso un percorso più lungo di un onboarding NASA, di solito non pensa: “Wow, che processo rigoroso!” Pensa: “Se per assumere ci mettono così tanto, immagino come sarà prendere decisioni operative.”
E purtroppo non ha tutti i torti.
Un processo snello non significa essere superficiali.
Significa avere le idee chiare.
Test tecnici irreali o scollegati dal lavoro
Quando parlo con developer su questo tema, il pattern è sempre lo stesso:
“Mi hanno dato un esercizio da 10 ore e non era nemmeno lontanamente simile a quello che fanno loro.”
E lì la domanda nasce spontanea:
a cosa serve testare un candidato su qualcosa che non farà mai?
Il risultato?
Le persone migliori, quelle che sono già impegnate a fare bene il loro lavoro, dicono “no grazie” prima ancora di iniziare.
Non vinci una selezione premiando chi ha più tempo libero.
La vinci premiando chi ha le competenze giuste per avere impatto nel tuo team.
Richiedere colloqui in presenza anche quando non ha senso
Altra dinamica che manda in tilt molti candidati (e anche noi headhunter):
“Ci vediamo in ufficio per il prossimo step.”
Per una call conoscitiva di 30 minuti.
Per un ruolo full remote.
Magari con due giorni di preavviso.
Il messaggio implicito è chiaro:
il tuo tempo vale meno del nostro.
Ma oggi i talenti non ragionano più così.
Non è arroganza, è consapevolezza.
L’incontro di persona è certamente prezioso e se usato bene fa la differenza.
Ma deve essere una tappa finale, non la prima barriera da superare.
Rimandare decisioni “per vedere anche altri”
E poi c’è quella fase nebulosa, quella terra di mezzo in cui il candidato perfetto c’è… ma l’azienda vuole comunque sondare altro, “giusto per sicurezza”.
La verità è che questo riflette un problema culturale più profondo:
la paura di decidere.
Nel tech, però, l’attesa non paga mai.
Chi ha valore viene conteso, corteggiato, convinto.
Non resta fermo per due mesi aspettando un “forse”.
Se hai trovato la persona giusta, decidere subito non è impulsività, è strategia.
La mentalità del confronto continuo
Un’altra tendenza che rischia di fare più danni che benefici è quella di trattare i candidati come se fossero in competizione costante tra loro.
“Sì, questo ci piace… ma vediamo se ne arriva uno ancora meglio.”
È il famigerato shopping mode.
E paradossalmente è il modo migliore per perdere proprio quello che ti serviva.
Lo scopo del recruiting non è trovare il candidato migliore in assoluto.
È trovare quello giusto per te.
A volte questa cosa succede al primo candidato.
E no, non è fortuna: è essere pronti a riconoscerlo.
In sintesi
Non servono processi perfetti, né test da Google versione 2012.
Serve realismo. Serve ascolto. Serve rispetto per il tempo delle persone — e anche per il proprio.
Oggi vince chi:
decide velocemente quando ha abbastanza informazioni
costruisce processi umani, non burocratici
valuta competenze reali, non maratone tecniche
tratta i candidati come partner, non concorrenti a un talent show
Il recruiting non è una corsa a ostacoli.
È un incontro tra persone.
E quando lo ricordiamo, funziona tutto molto meglio, per tutti.


